Qualche hanno fa ho conosciuto i fratelli Brancaccio, originari di Brusciano, uno dei comuni dell’agro nocerino-sarnese, ma trapiantati a Giugliano per lavoro.
I fratelli Brancaccio sono sempre stati molto uniti, tra di loro c’erano soltanto due anni di differenza e, quindi, sono cresciuti percorrendo la stessa strada.
Enzo e Giovanni, questi i loro nomi, ma per tutti sono sempre stati “i Brancaccio”, per anni hanno lavorato in una delle tante industrie meccaniche della provincia di Napoli. Una vita tra macchinari rumorosi e turni di lavoro estenuanti, sempre fianco a fianco. Con il passare del tempo, e nonostante non si siano mai sposati dal luogo in cui vivevano per una lunga serie di circostanze, nel loro pochissimo tempo libero, per anni hanno trascorso le giornate in uno dei parchi cittadini, sistemando con precisione assoluta i pochi giochi che, purtroppo, spesso venivano vandalizzati.
Anche se stanchi e sfiniti dopo il lavoro, non rientravano a casa se prima non avevano riparato per l’ennesima volta un’altalena, un dondolo divelto, un cavalluccio strappato dal suo supporto.
Quando finalmente arrivò il momento della pensione, i due non si persero d’animo. Ogni mattina, si recavano con i loro attrezzi in giro tra chiese e parchi pubblici, riparando senza sosta le panche e giostre danneggiate, restituendo momenti di gioia ai bambini.
Tra i tanti ragazzini che si avvicinavano curiosi a vedere i due fratelli all’opera, c’era Antonio, soprannominato “il Piccoletto” per la sua statura minuta. Antonio, cresciuto senza genitori in un quartiere dove le opportunità erano poche e le difficoltà molte, era stato accolto presso una casa famiglia al cui interno gli educatori si prendevano, e tutt’ora si prendono cura dei tanti bambini e ragazzi con un vissuto difficile ed un futuro incerto.
Con il passare dei mesi, quella sua vivace curiosità e il desiderio di imparare, lo portarono spesso a dare una mano ai due fratelli. Sotto la loro guida, “il Piccoletto” apprese quella manualità tipica dei veri fabbri, dei veri meccanici, assimilando tutti i segreti dei due fratelli e spesso eseguendo operazioni complesse, così rapidamente, da stupire chiunque.
Gli anni passarono e Antonio, sebbene non fosse più “il Piccoletto”, si appassionò alla meccanica. Prima il diploma, poi la laurea, poi la specializzazione. Si laureò giovanissimo, diventando un ingegnere meccanico di talento, tanto da essere conteso tra le grandi aziende aerospaziali.
Da alcuni anni i fratelli Brancaccio non ci sono più, ma nulla si è perso. Anche oggi “il Piccoletto” torna spesso nel suo quartiere, continuando quella estenuante ma piacevole e gratificante passione che i due fratelli gli hanno trasmesso. Antonio non lavora da solo: coinvolge, trascina e forma tutti i ragazzi del suo quartiere, in quello che per lui, da piccolo, sembrava un gioco, ma che in realtà si è tramutato in un obiettivo di vita: riparare, ricostruire, restituire alla comunità un bene da proteggere e tutelare. Perché in fondo prendersi cura degli altri e del contesto in cui si vive, significa prendersi cura del proprio e dell’altrui futuro donando speranza e fiducia.