Qualche anno fa ho conosciuto Martino, proveniente da una famiglia di tradizione antichissima, quella della produzione di candele, un mestiere che si perde nella notte dei tempi e risalente a migliaia di anni fa.
Per questo motivo, Martino come suo padre, suo nonno e il suo bisnonno prima di lui, era soprannominato “il Ceraio”.
La sua bottega, un tempo situata in una delle tante traverse dei Quartieri Spagnoli, era anche la sua piccola dimora.
Lì, in quei 30 metri quadrati, si erano avvicendati proprio tutti i suoi antenati, dal suo bisnonno, suo nonno, suo padre e infine lui.
La tradizione era stata tramandata di padre in figlio per oltre due secoli, e ogni generazione apportava nuove tecniche e segreti che arricchivano l’arte della cera.
Martino era un uomo dai modi gentili, con mani segnate dagli anni di lavoro. Aveva imparato il mestiere dal padre, Pasquale, che a sua volta lo aveva appreso da suo nonno. Ogni giorno, il profumo della cera fusa e delle erbe aromatiche riempiva le strade intorno alla loro bottega, richiamando clienti e curiosi. Fino a pochi anni fa, lo si incontrava ancora, anche se anziano, mentre passeggiava per le vie dei Quartieri Spagnoli, posizionando una delle sue candele nelle tante edicole votive della città.
Martino usava cera d’api pura; le sue candele non erano semplici mezzi per illuminare gli ambienti, ma vere e proprie opere d’arte capaci di abbellire qualsiasi arredo.
Proprio quando da poco era subentrato al suo papà, Martino ebbe un’occasione straordinaria per lanciare la sua bottega.
Un giorno, mentre preparavano un grande ordine per una chiesa in occasione di una festa religiosa, arrivò un cliente inaspettato.
Era Don Gaetano, un ricco mercante di stoffe che aveva saputo delle candele della bottega di Martino durante un suo viaggio a Roma, dove le candele napoletane avevano fatto un’impressione straordinaria durante una processione.
Don Gaetano si presentò nella bottega con una proposta: desiderava acquistare una grande quantità di candele per illuminare una sontuosa festa nella sua villa in costiera.
Martino sapeva che quella richiesta avrebbe messo alla prova le capacità della sua famiglia, ma non si scoraggiò. Con l’aiuto di Clara sua moglie e dei figli, che allora erano appena ragazzini, lavorarono giorno e notte, preparando candele non solo luminose, ma anche decorative, con ornamenti in cera colorata e intarsi di petali di fiori essiccati. Il risultato fu spettacolare: le candele sembravano opere d’arte.
La sera della festa, la villa di Don Gaetano brillava della luce calda e dorata delle candele di Martino. Gli ospiti, nobili e mercanti venuti da ogni angolo d’Italia, rimasero incantati dalla bellezza e dalla qualità della luce. Da quel momento, la fama della sua bottega si diffuse ben oltre i confini di Napoli. Gli ordini arrivarono da tutta la penisola e perfino dall’estero.
Per anni, Martino ha fornito molte chiese della città. Alcune delle sue candele, le più grandi e lunghe, venivano utilizzate in occasione del miracolo di San Gennaro o in altre ricorrenze speciali.
Fu lui a spiegarmi quanta precisione fosse necessaria per realizzare una candela così complessa. La lunghezza dello stoppino, la quantità di cera, la consistenza e la perfetta equilibratura dovevano consentire alla candela di bruciare in modo uniforme e costante.
Martino raccontava tante storie della sua vita e del passato, ma quando parlava di sua moglie si percepiva forte la sua commozione.
Dopo aver dato alla luce ben 4 figli, lei lo lasciò troppo presto, e lui si trovò a crescere quei ragazzi da solo.
Cercò di dar loro il migliore futuro possibile, facendogli frequentare le migliori scuole della città e poi la prestigiosa Università Federico II.
Oggi i loro figli sono professionisti apprezzati ognuno nel proprio campo, un avvocato di successo, un ingegnere e ben due medici.
Ma purtroppo è proprio così, assicurando la migliore preparazione possibile ai propri figli, che la secolare tradizione della famiglia di Martino è scomparsa.
Con un’unica eccezione.
Alla morte di Clara, Martino realizzò ogni giorno, per anni, una candela speciale, incidendo su ciascuna il nome della sua amata moglie. Ne produsse così tante da lasciare poi un testamento ai suoi figli.
Ogni giorno, per anni, ogni settimana, i figli avrebbero dovuto tenere accesa una candela in onore di Clara in una delle tante chiese cittadine.
I quattro figli hanno portato avanti con amore ed orgoglio questa usanza per anni. Nonostante le moderne leggi e i divieti di accendere fiamme nelle chiese, ancora oggi riescono a mantenere viva quella fiamma nelle loro case, proprio accanto a una foto di Martino e Clara giovani e felici con i loro vent’anni.