In questi giorni di caldo torrido di agosto vado spesso sul nostro lungomare. Oggi ho incontrato il piccolo Fadi: è nato qui a Napoli ed anche se i suoi genitori gli hanno voluto dare il nome di suo nonno, il suo accento ed il suo carattere rivelano la sua appartenenza a questa città.
Il piccolo Fadi nelle nostre acque ha imparato a nuotare, a tuffarsi e a rispettare questa città che ha accolto i suoi genitori. Ad ogni suo tuffo, ad ogni suo agitare il braccio per risalire e rifare ogni tuffo, mi viene in mente dove tutto questo è iniziato, quel 15 agosto del 2014.
Quel giorno ero al Molo 42 del porto di Napoli, ad aspettare l’arrivo della nave della Marina Militare con a bordo 1004 migranti di diverse nazionalità, tra loro numerosi minori non accompagnati ed anziani. Mai così tanti migranti arrivati in una delle nostre città, né prima di quel giorno, né dopo.
Ero stata nominata da poco più di un anno assessore al Welfare del comune di Napoli, con la delega all’immigrazione. Avevo lasciato la mia attività nel terzo settore dopo 15 anni, una scelta difficile, ma necessaria per svolgere appieno il mio impegno istituzionale e dare il mio contributo concreto alla mia città.
Era un caldo torrido, di quelli che non lasciano fiato, ma quel giorno eravamo lì, pronti a dare la nostra ospitalità a chi per così tanti giorni aveva viaggiato in cerca di speranza, lasciando con dolore mogli, madri e figli, in cerca di un futuro migliore.
1004, un numero che non dimenticherò mai, l’equivalente di un piccolo comune italiano, l’equivalente di un borgo, uno dei tanti in cui qui da noi la vita scorre spesso tranquilla. 1004 vite, storie, occhi, mani, che da lì a poco mi avrebbero stretto il cuore. Mai più come a quei tempi è accaduto un tale evento, e ogni giorno spero sempre che mai più debba accadere.
Un’organizzazione senza precedenti, dove ogni istituzione in perfetto sincronismo e condivisione, sistemò quelle anime, spaesate, stanche e desiderose di ricominciare, in ogni luogo possibile. Per la mia esperienza passata, l’attenzione massima fu sui minori non accompagnati, giovanissimi, adolescenti, poco più che bambini, che erano lì senza avere la minima idea di cosa fare e di chi fidarsi. Ricordo quei primi giorni, il nostro affanno per cercare di recuperare con loro un contatto umano, di conquistare la loro fiducia e poter trasmettere un sentimento di sicurezza e speranza. Non fu cosa semplice considerato che quei ragazzi ci vedevano come perfetti sconosciuti (e in effetti lo eravamo davvero), che parlavano una lingua altrettanto sconosciuta, in un contesto completamente diverso da quello da cui provenivano.
Tra quei minori, tra i tanti, vi era Yousef, sui 17 anni, così ci disse. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori, aveva sempre vissuto per strada con sua nonna. Aveva visto da piccolo un film su Napoli, probabilmente “La baia di Napoli” del 1960, che ha come protagonisti Sofia Loren e Vittorio De Sica e l’hollywoodiano Clarke Gable, l’indimenticabile Rhett Butler di “Via col vento”. Fin da piccolo si era innamorato di quella città, di quei luoghi, e ripeteva spesso che non sarebbe mai più andato via, come un segno del destino.
Oggi Yousef ha 27 anni, vive e lavora qui da noi, ha messo su, con alcuni suoi connazionali, un ristorantino in cui lavora anche sua moglie Zada. Yousef e Zada, anche lei arrivata qui dopo uno dei tanti viaggi della speranza, portano sempre il loro Fadi sulla spiaggetta del “Lido Mappatella”, o poco più avanti, verso Mergellina, perché ripetono sempre che questa città ha donato loro la possibilità di avere un futuro migliore, e vogliono che anche il loro piccolo Fadi sia parte di essa, per sempre.