Arrivarono un giorno in pieno inverno i coniugi De Rosa: lui medico, esperto in malattie epatiche, lei insegnante precaria. Sebbene entrambi originari della provincia di Udine, avevano vissuto per anni a Torino, ma la vita, come sempre, cambiò il loro percorso. Anni di precariato per Martina finché, per una strana congiuntura (in genere i precari sono maggiormente al sud e la disponibilità di posti al nord) non ottenne un ruolo stabile in una scuola di Ponticelli, a Napoli, quella Napoli che i coniugi De Rosa avevano conosciuto solo attraverso i racconti della stampa, della televisione e della propaganda mediatica che per anni ha descritto solo negativamente Napoli e le città del Sud attraverso i luoghi comuni più scontati.
Una scelta difficile, ma non impossibile, “sarà solo per qualche anno, poi torneremo a Torino”, si dissero i due. Così, in quel settembre del 2000, Martina mise piede per la prima volta in uno dei quartieri più difficili della città, mentre Giulio, suo marito, ottenne un trasferimento nel vicino ospedale di Torre del Greco. Due mondi completamente diversi da Udine e Torino, dove erano abituati a vivere.
I De Rosa, così ancora oggi vengono chiamati dai vicini, li conobbi una sera, impauriti e spaesati, mi chiesero alcune indicazioni, con il loro tipico accento.
Erano incappati in uno dei tanti scioperi del trasporto pubblico improvviso e decisi quel giorno di accompagnarli fino a casa, una piccola abitazione presa in affitto nel quartiere Vomero, un luogo lontanissimo sia da Torre del Greco che da Ponticelli, ma che per loro, dalle tante storie ascoltate, sembrava il luogo più sicuro.
Sono passati ventisette anni, quello che doveva essere solo un rapido passaggio, un momento di transizione per la coppia, è diventato invece la loro vita.
Martina, dopo anni di tentativi, rimase incinta e diede alla luce Michele, nato qui a Napoli, a pochi passi dal mare, in una struttura ospedaliera che per tutti è una vera eccellenza, situato sulla collina. Fu un parto difficile il suo, ma che l’esperienza e la maestria dei medici riuscirono a portare a termine, salvando la vita di mamma e figlio.
Mentre Giulio, un medico dotato di grande professionalità e umanità, comprendendo le scarse risorse che qui al Sud il Governo destina al nostro sistema sanitario, schiacciato da tanta burocrazia e poco personale, ha voluto far carriera qui, all’ombra del Vesuvio. Entrambi avrebbero potuto lasciare Napoli, che li aveva ospitati in un momento particolare della loro vita, ma come spesso accade, questa città ti entra dentro, anche se non ci sei nato, e diventi parte di essa.
E così, dopo quasi trent’anni, Martina e Giulio ancora oggi si fermano a contemplare questo spettacolo unico che è la nostra città, ripercorrendo i primi vent’anni, l’umanità, la fratellanza e l’accoglienza che hanno ricevuto e di cui oggi si sentono parte attiva.
Oggi Martina è dirigente scolastica in una delle nostre scuole, manca poco alla sua pensione, ma non pensa di tornare a Udine. Mario, invece, dirige uno dei reparti più importanti di un grande ospedale partenopeo e spesso dice, ai suoi pazienti che “il mio dovere è salvare la vita delle persone, ma so che questa città e questo popolo hanno salvato la mia.”
E Michele, il loro figlio? Oggi ha 27 anni, è stato uno dei nostri studenti più promettenti, non conosce Udine né Torino e si sente napoletano fino al midollo. Fino a qualche anno fa, ogni tanto scappava dai nonni, ma poi tornava qui, dove la sua stessa vita è iniziata e dove lui sente che proseguirà.