
Nel cuore di Napoli, tra i vicoli stretti dei Quartieri Spagnoli, viveva Carmine, un uomo sulla sessantina che tutti chiamavano affettuosamente “Zì Carmine”. Ex falegname, da qualche anno dormiva sotto i portici di Piazza del Gesù. Aveva perso tutto: lavoro, casa, famiglia. Eppure, non si lamentava mai. “Napule è ‘na mamma, e ‘na mamma nun te fa mai murí ‘e famme” diceva sempre con un sorriso sdentato a chi gli chiedeva come facesse a tirare avanti.
A Napoli, la povertà esiste, ma non esiste la solitudine.
Ogni mattina, il barista Ciro gli lasciava un caffè sospeso e una sfogliatella calda. Donna Concetta, che aveva un banco di frutta alla Pignasecca, gli metteva da parte qualche mela e un cartoccio di noci. E poi c’era Mariella, la studentessa di giurisprudenza che, tra una lezione e l’altra, gli leggeva il giornale ad alta voce. “Carmine, oggi ci stanno buone notizie: hanno arrestato quello che rubava nei quartieri e pare che finalmente aggiustano le buche di Via Toledo!” Lui rideva: ” E ‘e buche ‘e Toledo? Ce stanno ‘a quanno nascette Masaniello!”
Ma il destino aveva in serbo un’altra prova.
Una sera di gennaio, più fredda del solito, Carmine si ammalò. Una febbre alta lo piegò su una panchina, tremante e senza forze. Fu Gennaro, il pizzaiolo di Via Tribunali, a notarlo per primo. “Nun ce sta bbene, chiammamme ‘o 118!,” disse, mentre gli stringeva la mano.
Ma Napoli non si limita a chiamare un’ambulanza.
Quella notte, nel giro di poche ore, decine di persone si mobilitarono. Concetta portò coperte. Ciro riempì un thermos di tè caldo. Mariella chiamò un medico amico. Gennaro si fece accompagnare fino all’ospedale per assicurarsi che lo ricoverassero. E mentre Carmine veniva sistemato in un letto d’ospedale, con la flebo nel braccio e le lacrime agli occhi, non riusciva a smettere di ripetere: “Ma allora è vero… a Napule nisciuno more sulo”
Dopo due settimane, Carmine uscì dall’ospedale. Ad aspettarlo fuori c’era Mariella con un foglio in mano: “Ti ho trovato un posto alla Casa di Accoglienza di Don Franco. Un letto vero, Carmì. E pure un lavoro: vogliono ristrutturare i mobili della parrocchia, chi meglio di te?”
Carmine pianse. Di gioia, stavolta.
Quella sera, davanti a una pizza fumante offerta da Gennaro, si fermò un attimo, guardò i suoi angeli in carne e ossa e disse solo una frase:
“Napoli nun è ‘nu posto, è ‘nu popolo. E stu popolo me ha salvato ‘a vita.”