Alcuni anni fa conobbi don Antonio Russo, in un dormitorio del nostro territorio. Era conosciuto come “il Franfelliccaro”, un soprannome che mi incuriosì molto e che lui spiegava con estrema dovizia di particolari.
Il franfelliccaro era il tipico venditore ambulante di dolciumi semplici come caramelle di zucchero e torroni. Forse don Antonio è stato proprio uno degli ultimi ad onorare questo antico mestiere.
Una storia cruda come tante qui a Napoli, ma che don Antonio raccontava sempre con un bellissimo sorriso sulle labbra.
Era molto amato, don Antonio. Lo si vedeva spesso girare nei vicoli di Napoli, tirando quel pesante carretto ereditato da suo padre e, prima ancora, da suo nonno. Era stracolmo di dolciumi, alcuni dei quali, per molti anni, erano stati preparati da sua moglie Maria, a base di zucchero e miele.
Poi, dopo molti anni, arrivò Lina, una piccola “perla di zucchero”, così la definiva don Antonio, andata via troppo presto, a soli 3 anni, per una grave tubercolosi. Qualche anno dopo anche la sua Maria lo lasciò, ma don Antonio non si è mai fermato.
Quando gli chiesi come fosse finito in quel dormitorio, mi raccontò la sua storia commovente.
Sì, don Antonio aveva perso una figlia giovanissima, dopo un lungo periodo di cure tra gli ospedali Santobono e Pausilipon, di cui conosceva bene la storia e che raccontava spesso.
I due ospedali erano nati, in origine, come centri di prevenzione antitubercolare e, per lungo tempo, furono conosciuti come “Ospedali Riuniti per Bambini di Napoli”. Poi hanno preso il nome dalla loro posizione, ed è così che oggi abbiamo il “Santobono”, che prende il nome dalla proprietà “Parco di Villa Caracciolo di Santobono” nel quartiere Vomero, e il “Pausilipon”, dal greco “tregua dal dolore”.
Proprio al Pausilipon sua figlia fu curata per alcuni mesi, e da quel giorno don Antonio non se ne è mai più separato. Ogni mattina, dopo aver guadagnato qualche soldo “giù Napoli”, come diceva lui, risaliva fin su a Posillipo, trascorrendo ore tra le corsie di quell’ospedale. Regalava spettacoli incredibili ai bambini ricoverati, creando forme straordinarie di zucchero e colorando quei dolciumi, ma soprattutto “colorando” le tristi giornate di quei piccoli pazienti. E quando i medici acconsentivano, distribuiva i dolci non solo ai bambini, ma anche ai genitori, sperando, come diceva lui, di addolcire per qualche ora le loro preoccupazioni.
Ed è così che aveva deciso di donare la sua piccola casa ai tanti genitori che, da fuori regione, venivano a Napoli per curare i loro figli. Lui, non avendo più nessuno, aveva scelto di vivere tra i vari dormitori della città. Ed è per questo che, ancora oggi, quando noto uno dei tanti senza fissa dimora nella nostra città, immagino che dietro ognuno di loro ci sia una bella storia, come quella di don Antonio, il Franfelliccaro.