Il minorenne responsabile dell’omicidio di Giovanbattista Cutolo, il musicista di 24 anni, poco tempo fa è stato condannato a 20 anni di carcere.
Molti hanno esultato per la condanna, come se questo, da solo, possa essere, la chiusura definitiva di una drammatica vicenda, ma è lecito chiedersi se non si sia trascurato qualcosa di importante.
Prima di tutto, è essenziale ricordare che secondo il nostro sistema giudiziario, la reclusione dovrebbe avere una funzione rieducativa oltre che punitiva!
Purtroppo, questa funzione rieducativa non sempre riesce ad essere efficace. Ad esempio, il 70% degli uomini che finiscono negli istituti penitenziari per la prima volta, diventano recidivi, trascorrendo gran parte della loro vita in carcere.
Se è vero che è importante offrire a chi ha commesso gravi crimini la possibilità di pentirsi, è altrettanto fondamentale a tale scopo che le istituzioni garantiscano che chiunque abbia commesso reati possa redimersi, rieducarsi e non ricadere in una recidiva.
Nel caso specifico, spero che questi vent’anni di detenzione possano essere utilizzati per educare e favorire un autentico cambiamento del giovane imputato. Tuttavia, è evidente che la detenzione in sé non basta e che è necessario intervenire non solo sulla persona che ha commesso il crimine, ma anche sull’ambiente familiare che ha dimostrato di non essere stato all’altezza, anzi come spesso accade, di avere addirittura contribuito al rafforzamento di una mentalità violenta, prepotente, prevaricante.
Dobbiamo quindi chiederci cosa accadrà nei prossimi anni: avremo genitori, fratelli e sorelle che continueranno a “coltivare” quella mentalità familiare che non ha dimostrato di poter garantire una crescita sana e responsabile ai propri figli.
Il rischio è che già domani, e non tra vent’anni, ci ritroveremo di fronte a individui che considerano quella condanna come un’inutile punizione o addirittura ingiusta. È davvero preoccupante notare che, proprio nel momento in cui veniva annunciata la sentenza di condanna, nessuno dei parenti del ragazzo condannato per l’omicidio ha dimostrato pentimento.
È quindi essenziale interrogarsi sul senso e sulle eventuali auspicabili conseguenze di questa condanna, affinché i vent’anni di prigione possano trascorrere non invano. Infatti se contemporaneamente non si affrontano le problematiche legate alle diverse dinamiche familiari, si sarà raggiunto l’obiettivo punitivo ma si sarà reso inefficace il concetto di rieducazione dei giovani coinvolti e la nostra società continuerà ad essere insicura e pericolosa per i nostri ragazzi.
Ma un pensiero mi è balenato appena sono venuta a conoscenza della sentenza: riusciremo ad avere a breve una condanna giusta anche per Francesco Pio Maione, il diciottenne ucciso da un colpo di pistola a Mergellina nella notte tra il 19 ed 20 marzo 2023?
In questi giorni è stato incriminato un testimone per comportamento omissivo al processo, probabilmente a causa di intimidazioni ricevute, a dimostrazione del fatto che c’è un tessuto violento, spesso criminale, che va contrastato, se non vogliamo continuare a crescere i nostri figli nella paura, chiedendoci se stare seduti ad uno chalet con un amico, senza neanche prendere parte a nessun litigio, possa rappresentare un pericolo di vita, come è stato per Francesco Pio a cui, molto spesso, va il mio pensiero.
Non basta chiedere perdono ai nostri ragazzi uccisi, picchiati, molestati, minacciati per le strade della nostra città (e non solo nella nostra), non basta indignarsi, manifestare, intitolare a loro strade e sedi istituzionali, ci vogliono azioni concrete e che ognuno di noi faccia la sua parte.