Dalla mia passata esperienza da assessore alle politiche sociali ad oggi da consigliera regionale, sono transitati vari governi. Ognuno ha lanciato una nuova misura di sostegno al reddito, quasi tutte con un acronimo più o meno originale.
RMI (Reddito Minimo d’Inserimento), SAO (Sostegno all’Occupazione), Assegno di Maternità e ANF (Assegno Nucleo Familiare), REI (Reddito di Inclusione), SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva), la “Social Card”, RDC (Reddito Di Cittadinanza) e oggi, con il governo Meloni, ci apprestiamo ad avere la MIA (Misura di Inclusione Attiva).
A questi acronimi va aggiunto anche quello recente di SMS (Short Message Service), i messaggi testuali che in questi giorni arrivano a chi non sarà più percettore del Reddito di Cittadinanza perché non ha minori o disabili nel proprio nucleo familiare.
Ciò che mi chiedo (ovviamente è una domanda retorica) è se non sia il caso di trovare una soluzione certa che dia stabilità e, soprattutto, dignità alle persone. Dietro ogni sigla, si nasconde un diverso sistema di attribuzione di contributi, in questo modo chi vive nel precariato resta tale, mentre si fa il gioco dei “furbetti” che sanno adattarsi alle nuove regole a danno di chi ne ha realmente bisogno.
Ritengo che un paese civile debba avere una misura universalistica permanente e che debba fare tesoro delle esperienze precedenti, basandosi sui dati di un monitoraggio serio, che non cancelli ciò che di buono è stato fatto in passato con un colpo di spugna in maniera superficiale e irresponsabile.
E così sistematicamente il disagio dei cittadini viene strumentalizzato oggi dall’una, domani da un’altra forza politica, dimenticando che si sta decidendo di misure di contrasto alla povertà e della vita di persone e famiglie che quelle difficoltà le vivono ogni giorno.